Il cardo blu del Gran Sasso: un fiore rarissimo, una scoperta emozionante

Sembra uscito da un sogno alpino, eppure è reale. Ha spine eleganti, un colore che danza tra l’azzurro e l’acciaio, e un’aura di leggenda. L’Eryngium alpinum, noto anche come cardo alpino, è stato avvistato per la prima volta nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Una scoperta che ha del miracoloso, ma anche del simbolico.

Una staffetta botanica tra escursionismo e scienza

Tutto inizia l’8 agosto 2023, quando Alessio Giordano, appassionato di montagna, percorre i sentieri selvaggi sopra Pretara, nel cuore del Gran Sasso. Condivide il tracciato su un’app dedicata al trekking, carica le foto, e tra queste compare una pianta inaspettata: il cardo alpino. Non lo sa, ma quella specie non risultava presente nei censimenti ufficiali del parco.

Ad accorgersene è Pasqualino Paris, esperto autodidatta di flora abruzzese. La segnala a Fabio Conti e Fabrizio Bartolucci, ricercatori dell’Università di Camerino e collaboratori del Centro Ricerche Floristiche dell’Appennino. Ed è così che un post di trekking si trasforma in una scoperta scientifica.

Unico, raro, minacciato

Fino a quel giorno, l’Eryngium alpinum risultava presente solo sull’arco alpino, in alcune zone isolate di Francia, Svizzera, Austria, Italia settentrionale e Penisola balcanica. È una specie protetta dalla Direttiva Europea “Habitat”, minacciata in tutto il suo areale.

La pianta trovata da Giordano è l’unico esemplare noto nell’Appennino centrale. Durante la perlustrazione, i botanici non ne hanno individuati altri. Una foglia è stata prelevata per indagini molecolari, ma si attendono nuove esplorazioni nel periodo di fioritura.

Il cardo blu del Gran Sasso

Non basta scoprirlo, bisogna proteggerlo

Il presidente del Parco, Tommaso Navarra, ha parlato di “presenza rispettosa dell’ambiente” e lanciato un appello chiaro: evitiamo di calpestare, geotaggare, massificare. Perché un passo fuori sentiero può sembrare innocente, ma in quota può significare distruzione.

E proprio qui entrano in gioco le fototrappole, strumenti oggi fondamentali anche nella tutela della flora rara. Nate per osservare la fauna selvatica, vengono impiegate anche per monitorare l’integrità delle praterie: registrano chi abbandona i sentieri, chi bivacca dove non dovrebbe, chi si inginocchia sul fiore raro per uno scatto da social.

Occhi invisibili, missione consapevolezza

Queste camere nascoste alimentate a energia solare rappresentano l’anello mancante tra scienza, tutela e educazione ambientale. I dati raccolti aiutano i ricercatori a individuare le aree a rischio, ma anche a coinvolgere il pubblico: alcuni rifugi mostrano le immagini scattate dalle fototrappole, per far conoscere senza disturbare.

E c’è di più: progetti scolastici e mostre itineranti stanno nascendo proprio da questi materiali visivi. Così, le stesse tecnologie che ci raccontano gli orsi e i cervi, oggi ci insegnano a rispettare i fiori.

L’equilibrio fragile del Gran Sasso

Nel trentesimo anniversario del Parco Nazionale, questa scoperta arriva come un dono e un richiamo. Con oltre 2.600 specie censite, l’area è una delle più biodiversificate d’Europa. Ma anche tra le più fragili.

E se una sola pianta può cambiare il nostro sguardo su un intero paesaggio, è nostro dovere garantire che resti dove la natura l’ha voluta. Che non venga strappata per un mazzo da mettere in casa, né calpestata per un selfie in più.

Cinque azioni per proteggere il cardo alpino

  • 🌱 Resta sul sentiero: non cercare scorciatoie o punti panoramici non segnalati.
  • 📷 Evita i selfie a contatto diretto con la flora: fotografa da lontano.
  • 🗺 Non geotaggare i post social di luoghi con specie rare.
  • 🧠 Impara a riconoscerlo: se lo vedi, segnala il punto ai ricercatori.
  • 💡 Sostieni i progetti di monitoraggio ambientale, anche con una donazione.

Nel fiore blu del Gran Sasso c’è tutta la bellezza che possiamo ancora difendere. Ma anche tutta la leggerezza con cui rischiamo di perderla. Le fototrappole ci aiutano a vedere ciò che spesso ignoriamo: la natura ci osserva mentre la osserviamo. E non sempre perdona.

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